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Un rapporto spiega perché non si usa l'open source negli uffici di Bruxelles
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Un rapporto spiega perché non si usa l''open source negli uffici di Bruxelles
Gli uffici delle istituzioni UE usano soltanto computer con software Microsoft. Le ragioni.
L’europarlamentare radicale Marco Cappato si è più volte interessato al tema dell’adozione di piattaforme e software open source negli uffici di Bruxelles e di Strasburgo. Ogni deputato, scrive Cappato sul proprio blog, lavora con un computer assegnato dall’amministrazione, su cui è installata una configurazione standard: Windows, Explorer, Outlook e pacchetto Office. Tutti in versione inglese.
Cappato ha chiesto al Consiglio Europeo di effettuare uno studio sul costo, economico e funzionale, dell’attuale dipendenza da una sola società fornitrice di software, confrontandolo con l’eventuale risparmio derivato dall’azione di software libero. Perché, in sostanza, Bruxelles non può sganciarsi da Microsoft?
La principale motivazione consiste nel fatto che le istituzioni UE non solo hanno adottato software proprietario, ma anche tecnologie sviluppate ad hoc. Per aprire agli OSS, quindi, occorre prudenza, soprattutto in relazione al bisogno di continuità di servizio delle infrastrutture e degli ambienti informatici UE.
Una conferma di questa risposta ricevuta da Cappato arriva da uno studio realizzato dal Comitato interistituzionale dell’informatica nel 2005, tornato alla luce in questi giorni proprio per iniziativa del deputato italiano. Nello studio, infatti, si parla di una situazione caratterizzata da numerosi programmi sviluppati da Microsoft o per operare in un ambiente Microsoft, che formano un nucleo coerente e interconnesso.
A BigM la UE versa circa 6,2 milioni di euro l’anno (rif. 2005), mentre la stima del costo del progetto di conversione all’open source parla di circa 76 milioni di euro. Anche se la Commissione interistituzionale non nega le potenzialità dell’iniziativa, che consentirebbe, fra l’altro, di riappropriarsi del proprio ambiente informatico e di evolversi verso una maggiore indipendenza.
L’europarlamentare radicale Marco Cappato si è più volte interessato al tema dell’adozione di piattaforme e software open source negli uffici di Bruxelles e di Strasburgo. Ogni deputato, scrive Cappato sul proprio blog, lavora con un computer assegnato dall’amministrazione, su cui è installata una configurazione standard: Windows, Explorer, Outlook e pacchetto Office. Tutti in versione inglese.
Cappato ha chiesto al Consiglio Europeo di effettuare uno studio sul costo, economico e funzionale, dell’attuale dipendenza da una sola società fornitrice di software, confrontandolo con l’eventuale risparmio derivato dall’azione di software libero. Perché, in sostanza, Bruxelles non può sganciarsi da Microsoft?
La principale motivazione consiste nel fatto che le istituzioni UE non solo hanno adottato software proprietario, ma anche tecnologie sviluppate ad hoc. Per aprire agli OSS, quindi, occorre prudenza, soprattutto in relazione al bisogno di continuità di servizio delle infrastrutture e degli ambienti informatici UE.
Una conferma di questa risposta ricevuta da Cappato arriva da uno studio realizzato dal Comitato interistituzionale dell’informatica nel 2005, tornato alla luce in questi giorni proprio per iniziativa del deputato italiano. Nello studio, infatti, si parla di una situazione caratterizzata da numerosi programmi sviluppati da Microsoft o per operare in un ambiente Microsoft, che formano un nucleo coerente e interconnesso.
A BigM la UE versa circa 6,2 milioni di euro l’anno (rif. 2005), mentre la stima del costo del progetto di conversione all’open source parla di circa 76 milioni di euro. Anche se la Commissione interistituzionale non nega le potenzialità dell’iniziativa, che consentirebbe, fra l’altro, di riappropriarsi del proprio ambiente informatico e di evolversi verso una maggiore indipendenza.
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