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Le vittime e i carnefici della crisi Ovazione per il film di Moore

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Le vittime e i carnefici della crisi Ovazione per il film di Moore Empty Le vittime e i carnefici della crisi Ovazione per il film di Moore




Le vittime e i carnefici della crisi Ovazione per il film di Moore Reut_16640422_58100

Il messaggio è il seguente: "Il capitalismo è un male. E il male non si riforma, si sconfigge". Anche perché, viste sullo schermo, le sue malefatte appaiono davvero indifendibili. Come giustificare, ad esempio, un sistema economico in cui le truffe bancarie e finanziarie sono non l'eccezione ma la regola? In cui si privatizzano perfino le carceri, mandando in cella, per profitto, ragazzini innocenti? In cui le corporation fanno di nascosto assicurazioni sulla vita dei dipendenti, sperando che muoiano per poter incassare il premio?

E' basato su fatti come questi, e su un giudizio totalmente negativo verso il libero mercato, il film che alla proiezione stampa di ieri sera, in Sala Perla, entusiasma i giornalisti della Mostra: parliamo ovviamente di "Capitalism: a love story", l'ultimo docufilm d'assalto firmato Michael Moore. Visto da centinaia di cronisti, diposti a mettersi in coda per entrare e ad accettare perfino posti in piedi, pur di non perdere la pellicola (in concorso) forse più attesa della kermesse. E c'è da scommettere che anche la proiezione ufficiale di oggi in Sala Grande, alla presenza del regista, farà non solo il tutto esaurito, ma anche il pienone di consensi a fine visione.

Certo, sulla carta, l'assunto alla base del film - le nefandezze del mondo economico e finanziario, e anche di un potere politico totalmente asservito - non è originale: dopo lo scoppio della crisi, la criminalizzazione di queste categorie è diventata quasi un luogo comune. Ma Moore, come ha già fatto nelle sue opere precedenti, ha due cose in più. Primo: mette in fila i fatti che apprendiamo disordinatamente dalla cronaca, dando loro una coerenza logica e cronologica. Secondo: fa uscire la sofferenza della gente dall'astrazione, dai grandi numeri. Mostrando nei volti, nei gesti, nelle parole delle vittime del crac da derivati tutto il capitale di sofferenza, di disperazione, che la follia di Wall Street e dintorni ha portato.

Gli esempi, in questo senso, sono numerosi. Vediamo le persone, molte anziane, costrette a lasciare le case in cui risiedono da decenni, magari costruite sulla fattoria in cui già vivevano i genitori o i nonni. Assistiamo allo strazio di chi non solo ha perso tutto, compreso il tetto sulla testa, ma che prima di lasciare l'abitazione deve anche metterla a nuovo, pur di ottenere l'elemosina di mille dollari per lo sgombero e la pulizia (per i creditori è più economico che rivolgersi a una ditta specializzata). Ascoltiamo le testimonianze di alcuni adolescenti spediti ingiustamente in galera, magari per aver preso in giro la preside della scuola: il giudice che li ha condannati alla galera prendeva mazzette dal gestore della prigione (privatizzata). Per non parlare dello strazio e della rabbia di una moglie che, dopo aver perso il marito, scopre per caso che la sua azienda ha incassato un milione e mezzo di dollari alla sua morte: sono centinaia di migliaia i dipendenti americani segretamente assicurati sulla vita dalle corporation per cui lavorano.

Insomma, un sistema marcio alle radici. Una rapina generalizzata e istituzionalizzata, nel giudizio dell'autore. Con cause lontane, nel tempo: Moore data l'inizio della fine con l'avvento del reaganismo, quando si persero innumerevoli posti di lavoro pur di abbattere le tasse sui redditi più alti. Un processo che nell'era di George W. Bush - eterno bersaglio prediletto di Moore - raggiunge il suo apice: merito anche dell'infiltrarsi nelle istituzioni di uomini già ai vertici, o comunque al soldo, di giganti come la Goldman Sachs. E, a questo proposito, vale la pena di seguire la ricostruzione di come lo scorso anno, a due settimane dalle elezioni, il Parlamento varò una legge che salvava i big di Wall Street dal tracollo, coi soldi dei contribuenti. Una decisione bipartisan voluta dai super-lobbisti, malgrado la valanga di e-mail scritte dai cittadini ai propri rappresentanti con la richiesta di bocciare la proposta.

Nessuna pietà e nessuno sconto, dunque, per i responsabili di situazioni come questa. Anche se, coerentemente allo stile Moore, il tono del film è tutt'altro che tragico: l'ironia, lo sberleffo, la provocazione sono costanti. Come quando vediamo lui, Michael, circondare Wall Street con il nastro adesivo "crime scene - do not cross", in riferimento ai crimini commessi dai finanzieri. E col regista che tenta perfino di arrestare manager e broker... Quanto alla reazione del pubblico, il regista non ha dubbi: "Cosa resterà al pubblico di questa pellicola? Popcorn e forconi".
florin88
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