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Libia: la vera guerra italiana
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Libia: la vera guerra italiana
Le nostre forze armate hanno scaricato almeno 800 tra bombe e missili, distruggendo più di 500 obiettivi. E' stato il massimo volume di fuoco mai usato dalla Seconda Guerra Mondiale. E gli attacchi della Nato sono partiti all'80 per cento dalle nostre basi. Il tutto, paradossalmente, senza aver alcun peso nelle scelte.
Dicono che abbiamo combattuto come gli altri e forse più degli altri. Solo francesi e britannici ci hanno superato come numero di raid e ordigni sganciati per spazzare via il regime di Gheddafi. Non ci sono bilanci ufficiali, ma le fonti più attendibili rivelano dati impressionanti: i nostri caccia hanno individuato 1.500 obiettivi e ne hanno distrutti oltre cinquecento con almeno ottocento tra bombe e missili. E' il massimo volume di fuoco scatenato dall'Aeronautica sin dal 1943: gli arsenali sono stati svuotati, impegnando contro le postazioni dei "lealisti" l'intera scorta di armi di precisione con puntamento laser o satellitare.
I vertici delle forze armate sono certi che le azioni non abbiano inflitto danni collaterali: ogni incursione è stata pianificata con cura, per evitare di colpire la popolazione. In alcuni casi, è stato persino posto una sorta di veto agli attacchi degli alleati, quando si è ritenuto che lo scenario fosse troppo confuso per distinguere tra guerrieri e abitanti. Perché è dalle nostre basi che è partito l'80 per cento degli aerei: senza gli aeroporti italiani la campagna della Nato in Libia non ci sarebbe mai stata.
Dal punto di vista militare, gli alti comandi atlantici hanno riconosciuto la rilevanza del nostro intervento. Ma sono bastate le parole di Barack Obama per far capire che l'Italia questa guerra l'ha persa. Il presidente americano ha ignorato Roma nei ringraziamenti per il successo dell'operazione, sottolineando invece il peso dell'asse franco-britannico. E' come se si fosse chiuso un ciclo, cominciato nel 1999 con il conflitto in Kosovo che aveva dato un credito nuovo alle capacità italiane: poi c'erano state Iraq, Afghanistan e addirittura la leadership in Libano nel 2006. Adesso l'Italia di Silvio Berlusconi torna in un angolo, con un crescente sospetto di inaffidabilità. E questo accade proprio in Libia dove si trovano risorse fondamentali per l'economia nazionale ed esiste un rapporto privilegiato che, nel bene o nel male, va avanti da un secolo.
Dicono che abbiamo combattuto come gli altri e forse più degli altri. Solo francesi e britannici ci hanno superato come numero di raid e ordigni sganciati per spazzare via il regime di Gheddafi. Non ci sono bilanci ufficiali, ma le fonti più attendibili rivelano dati impressionanti: i nostri caccia hanno individuato 1.500 obiettivi e ne hanno distrutti oltre cinquecento con almeno ottocento tra bombe e missili. E' il massimo volume di fuoco scatenato dall'Aeronautica sin dal 1943: gli arsenali sono stati svuotati, impegnando contro le postazioni dei "lealisti" l'intera scorta di armi di precisione con puntamento laser o satellitare.
I vertici delle forze armate sono certi che le azioni non abbiano inflitto danni collaterali: ogni incursione è stata pianificata con cura, per evitare di colpire la popolazione. In alcuni casi, è stato persino posto una sorta di veto agli attacchi degli alleati, quando si è ritenuto che lo scenario fosse troppo confuso per distinguere tra guerrieri e abitanti. Perché è dalle nostre basi che è partito l'80 per cento degli aerei: senza gli aeroporti italiani la campagna della Nato in Libia non ci sarebbe mai stata.
Dal punto di vista militare, gli alti comandi atlantici hanno riconosciuto la rilevanza del nostro intervento. Ma sono bastate le parole di Barack Obama per far capire che l'Italia questa guerra l'ha persa. Il presidente americano ha ignorato Roma nei ringraziamenti per il successo dell'operazione, sottolineando invece il peso dell'asse franco-britannico. E' come se si fosse chiuso un ciclo, cominciato nel 1999 con il conflitto in Kosovo che aveva dato un credito nuovo alle capacità italiane: poi c'erano state Iraq, Afghanistan e addirittura la leadership in Libano nel 2006. Adesso l'Italia di Silvio Berlusconi torna in un angolo, con un crescente sospetto di inaffidabilità. E questo accade proprio in Libia dove si trovano risorse fondamentali per l'economia nazionale ed esiste un rapporto privilegiato che, nel bene o nel male, va avanti da un secolo.
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