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Sequestro siti pirata e Cassazione
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Sequestro siti pirata e Cassazione
Pochi giorni fa è stata data la notizia ufficiale sulla disposizione del sequestro del sito The Pirate Bay ad effetto della sentenza n. 49437/09 della Corte di Cassazione. Alle voci discordanti con la decisione della suprema corte si aggiunge anche quella dell’AIIP (Associazione Italiana Internet Provider), che non esita a definire devastanti le conseguenze di questa sentenza sull’operato dei provider.
Recita infatti il testo della sentenza: «Il giudice può disporre il sequestro preventivo del sito web il cui gestore concorra nell’attività penalmente illecita di diffusione nella rete internet di opere coperte da diritto d’autore, senza averne diritto, richiedendo contestualmente che i provider del servizio di connessione internet escludano l’accesso al sito al limitato fine di precludere l’attività di illecita diffusione di tali opere». In sostanza la Cassazione prevede che i provider esplichino un ruolo di controllori della Rete, rimandando in qualche modo alle logiche presupposte dalla famigerata Dottrina Sarkozy con cui i francesi devono fare i conti.
Ma l’AIIP non ci sta e, come esplicitato in un comunicato stampa diffuso in queste ore, «resta fermamente contraria a qualsiasi ipotesi di responsabilizzazione dei fornitori italiani di accesso ad Internet per gli atti commessi dagli utenti dei servizi Internet». Il perno della questione è la responsabilità degli atti illeciti, che per l’AIIP ricade esclusivamente su chi ha pubblicato i contenuti con copyright. «Non è ancora chiaro a tutti» prosegue il comunicato «che se si deve disporre il sequestro di un sito, questo deve essere eseguito presso il fornitore del servizio di hosting. Disporre invece l’inibizione dell'accesso ad un sito (servizio o contenuto) come forma di sequestro surrettizia è tanto sbagliato sotto il profilo giuridico, quanto inutile sotto quello tecnico. L’unico modo di sequestrare un sito in hosting all’estero è la rogatoria internazionale».
Peraltro, a detta dell’AIIP, incaricare i provider ad azioni di questo tipo significa mettere in discussione il diritto di privacy dei cittadini, aumentare i costi di erogazione dei servizi di connettività, introdurre filtri in Rete che rallentano la trasmissione dei dati e infine intaccare il principio di libertà degli utenti di vedere ed esprimere quello che vogliono. Peraltro azioni simili non risolvono il problema, perché chi ha effettivamente commesso un crimine legato alla distribuzione illegale di contenuti mediante Internet troverà rapidamente innumerevoli altri canali utili. L’unico vero strumento di lotta è la sorveglianza preventiva sulle attività degli utenti, non il filtraggio degli accessi. Insomma è muro compatto contro la sentenza. C’è da attendere a questo punto lo sviluppo del confronto e soprattutto quali disegni di legge verranno effettivamente proposti.
Recita infatti il testo della sentenza: «Il giudice può disporre il sequestro preventivo del sito web il cui gestore concorra nell’attività penalmente illecita di diffusione nella rete internet di opere coperte da diritto d’autore, senza averne diritto, richiedendo contestualmente che i provider del servizio di connessione internet escludano l’accesso al sito al limitato fine di precludere l’attività di illecita diffusione di tali opere». In sostanza la Cassazione prevede che i provider esplichino un ruolo di controllori della Rete, rimandando in qualche modo alle logiche presupposte dalla famigerata Dottrina Sarkozy con cui i francesi devono fare i conti.
Ma l’AIIP non ci sta e, come esplicitato in un comunicato stampa diffuso in queste ore, «resta fermamente contraria a qualsiasi ipotesi di responsabilizzazione dei fornitori italiani di accesso ad Internet per gli atti commessi dagli utenti dei servizi Internet». Il perno della questione è la responsabilità degli atti illeciti, che per l’AIIP ricade esclusivamente su chi ha pubblicato i contenuti con copyright. «Non è ancora chiaro a tutti» prosegue il comunicato «che se si deve disporre il sequestro di un sito, questo deve essere eseguito presso il fornitore del servizio di hosting. Disporre invece l’inibizione dell'accesso ad un sito (servizio o contenuto) come forma di sequestro surrettizia è tanto sbagliato sotto il profilo giuridico, quanto inutile sotto quello tecnico. L’unico modo di sequestrare un sito in hosting all’estero è la rogatoria internazionale».
Peraltro, a detta dell’AIIP, incaricare i provider ad azioni di questo tipo significa mettere in discussione il diritto di privacy dei cittadini, aumentare i costi di erogazione dei servizi di connettività, introdurre filtri in Rete che rallentano la trasmissione dei dati e infine intaccare il principio di libertà degli utenti di vedere ed esprimere quello che vogliono. Peraltro azioni simili non risolvono il problema, perché chi ha effettivamente commesso un crimine legato alla distribuzione illegale di contenuti mediante Internet troverà rapidamente innumerevoli altri canali utili. L’unico vero strumento di lotta è la sorveglianza preventiva sulle attività degli utenti, non il filtraggio degli accessi. Insomma è muro compatto contro la sentenza. C’è da attendere a questo punto lo sviluppo del confronto e soprattutto quali disegni di legge verranno effettivamente proposti.
AIIP, dura critica alla sentenza della Cassazione
Il commento dei provider, come era prevedibile, non si è fatto attendere. A pochi giorni dalla sentenza che conferma il sequestro del sito The Pirate Bay, infatti, l'Associazione Italiana Internet Provider (AIIP) ha reagito con forza ai principi espressi dalla Cassazione, contestando nel merito la decisione intrapresa.
«L'Associazione Italiana Internet Provider (AIIP) denuncia gli effetti devastanti che potrebbe dispiegare sui fornitori di accesso e sugli utenti dell'Internet italiana la sentenza n. 49437/09 della Corte di Cassazione che ha condannato il sito svedese The Pirate Bay nella parte in cui dispone che "il giudice può disporre il sequestro preventivo del sito web il cui gestore concorra nell'attività penalmente illecita di diffusione nella rete internet di opere coperte da diritto d'autore, senza averne diritto, richiedendo contestualmente che i provider del servizio di connessione internet escludano l'accesso al sito al limitato fine di precludere l'attività di illecita diffusione di tali opere"». L'AIIP non a che ribadire quanto asserito ormai da anni: i provider non intendono accettare di fare da tramite per le decisioni gravanti sugli utenti, non vogliono oneri aggiuntivi e non accettano di posizionarsi tra la legge e l'utenza con doveri che esulano dalla normale attività di fornitura di connettività.
«AIIP pur essendo in prima linea per sostenere il rispetto della legge, la collaborazione con le Autorità pubbliche e il principio della personalità della responsabilità penale, resta fermamente contraria a qualsiasi ipotesi di responsabilizzazione dei fornitori italiani di accesso ad Internet per gli atti commessi dagli utenti dei servizi internet». Continua quindi il comunicato diramato: «Se atti illeciti sono stati commessi e se sono stati commessi in Italia, i soli a dover rispondere sono coloro che li hanno commessi. Non è ancora chiaro a tutti che se si deve disporre il sequestro di un sito, questo deve essere eseguito presso il fornitore del servizio di hosting. Disporre invece l'inibizione dell'accesso ad un sito (servizio o contenuto) come forma di sequestro surrettizia è tanto sbagliato sotto il profilo giuridico, quanto inutile sotto quello tecnico. L'unico modo di sequestrare un sito in hosting all'estero è la rogatoria internazionale».
L'analisi AIIP proegue analizzando gli errori della Cassazione, focalizzando l'attenzione soprattutto sull'inutilità dell'imposizione di filtri alla navigazione (il problema dei DNS è quello più evidente): «La Cassazione equipara ora, nuovamente, l'inibitoria al sequestro e questo imporrebbe il filtraggio della navigazione. Si tratta di un errore tecnico, visto che è ampiamente dimostrato che i filtri funzionano solo ed esclusivamente se l'utente "filtrato" è disponibile a collaborare o se il provider è l'ultimo anello della connessione che porta al sito in questione (l'hosting provider). Dunque, se il filtraggio tecnicamente non funziona, è anche inidoneo a costituire modalità di esecuzione dell'inibitoria ed, in generale, ad impedire che il reato venga commesso».
L'AIIP chiude con un elenco di rischi che le distorsioni della sentenza della Cassazione potrebbe comportare:
* «non risolve il problema della pirateria: i rimedi che identifica sono assolutamente inidonei a contrastare i reati per cui "The Pirate Bay" viene condannato»;
* «erode ulteriormente il principio dell'assenza di un obbligo di sorveglianza preventiva sulle attività degli utenti»;
* «costringe i provider a mettere in atto misure di filtraggio che, per le caratteristiche stesse della rete, possono essere facilmente aggirate dagli utenti, esponendo i fornitori al rischio di essere considerati responsabili in prima persona degli accessi compiuti dall'utente a siti, contenuti o servizi di cui si è disposto il "sequestro"»;
* «espone a rischio la privacy dei cittadini»;
* «provoca un aumento dei costi di erogazione dei servizi internet»;
* «limita la libertà di manifestazione del pensiero in Internet, ponendo una questione costituzionale rilevante»;
* «provoca una diminuzione della velocità della banda, dovuta alla necessità di filtrare i contenuti»;
* «disincentiva gli investimenti nel settore TLC»;
* «abbassa la competitività degli operatori italiani nei confronti dei concorrenti stranieri».
«L'Associazione Italiana Internet Provider (AIIP) denuncia gli effetti devastanti che potrebbe dispiegare sui fornitori di accesso e sugli utenti dell'Internet italiana la sentenza n. 49437/09 della Corte di Cassazione che ha condannato il sito svedese The Pirate Bay nella parte in cui dispone che "il giudice può disporre il sequestro preventivo del sito web il cui gestore concorra nell'attività penalmente illecita di diffusione nella rete internet di opere coperte da diritto d'autore, senza averne diritto, richiedendo contestualmente che i provider del servizio di connessione internet escludano l'accesso al sito al limitato fine di precludere l'attività di illecita diffusione di tali opere"». L'AIIP non a che ribadire quanto asserito ormai da anni: i provider non intendono accettare di fare da tramite per le decisioni gravanti sugli utenti, non vogliono oneri aggiuntivi e non accettano di posizionarsi tra la legge e l'utenza con doveri che esulano dalla normale attività di fornitura di connettività.
«AIIP pur essendo in prima linea per sostenere il rispetto della legge, la collaborazione con le Autorità pubbliche e il principio della personalità della responsabilità penale, resta fermamente contraria a qualsiasi ipotesi di responsabilizzazione dei fornitori italiani di accesso ad Internet per gli atti commessi dagli utenti dei servizi internet». Continua quindi il comunicato diramato: «Se atti illeciti sono stati commessi e se sono stati commessi in Italia, i soli a dover rispondere sono coloro che li hanno commessi. Non è ancora chiaro a tutti che se si deve disporre il sequestro di un sito, questo deve essere eseguito presso il fornitore del servizio di hosting. Disporre invece l'inibizione dell'accesso ad un sito (servizio o contenuto) come forma di sequestro surrettizia è tanto sbagliato sotto il profilo giuridico, quanto inutile sotto quello tecnico. L'unico modo di sequestrare un sito in hosting all'estero è la rogatoria internazionale».
L'analisi AIIP proegue analizzando gli errori della Cassazione, focalizzando l'attenzione soprattutto sull'inutilità dell'imposizione di filtri alla navigazione (il problema dei DNS è quello più evidente): «La Cassazione equipara ora, nuovamente, l'inibitoria al sequestro e questo imporrebbe il filtraggio della navigazione. Si tratta di un errore tecnico, visto che è ampiamente dimostrato che i filtri funzionano solo ed esclusivamente se l'utente "filtrato" è disponibile a collaborare o se il provider è l'ultimo anello della connessione che porta al sito in questione (l'hosting provider). Dunque, se il filtraggio tecnicamente non funziona, è anche inidoneo a costituire modalità di esecuzione dell'inibitoria ed, in generale, ad impedire che il reato venga commesso».
L'AIIP chiude con un elenco di rischi che le distorsioni della sentenza della Cassazione potrebbe comportare:
* «non risolve il problema della pirateria: i rimedi che identifica sono assolutamente inidonei a contrastare i reati per cui "The Pirate Bay" viene condannato»;
* «erode ulteriormente il principio dell'assenza di un obbligo di sorveglianza preventiva sulle attività degli utenti»;
* «costringe i provider a mettere in atto misure di filtraggio che, per le caratteristiche stesse della rete, possono essere facilmente aggirate dagli utenti, esponendo i fornitori al rischio di essere considerati responsabili in prima persona degli accessi compiuti dall'utente a siti, contenuti o servizi di cui si è disposto il "sequestro"»;
* «espone a rischio la privacy dei cittadini»;
* «provoca un aumento dei costi di erogazione dei servizi internet»;
* «limita la libertà di manifestazione del pensiero in Internet, ponendo una questione costituzionale rilevante»;
* «provoca una diminuzione della velocità della banda, dovuta alla necessità di filtrare i contenuti»;
* «disincentiva gli investimenti nel settore TLC»;
* «abbassa la competitività degli operatori italiani nei confronti dei concorrenti stranieri».
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