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H1N1, le aziende schierano i lavoratori-jolly e al cinema arriva il pacchetto 3D-A

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C'E' chi studia quel che succede in questi mesi in Argentina e in Australia con lo stesso stato d'animo dei maturandi che anni fa si informavano sui temi d'esame nelle scuole italiane della Somalia: quel che accade laggiù, prima o poi arriverà qui. L'esame argentino non è rassicurante: nell'emisfero sud l'inverno sta finendo e l'influenza A ha colpito il 15-20 per cento della popolazione contro il 5 per cento degli anni scorsi. Così ci si attrezza anche in Italia per la grande epidemia che verrà. Non solo con i vaccini ma con una miriade di piccoli e grandi accorgimenti destinati a modificare le nostre abitudini quotidiane. Ecco una guida dell'Italia ai tempi della suina.

Chi si sta preparando da tempo è il mondo del lavoro. Federico Vione, amministratore delegato di Adecco Italia, racconta l'indagine di una grande società che offre alle aziende lavoro interinale: "Dall'inizio di settembre abbiamo chiesto ai nostri clienti quali funzioni prevedono di dover sostituire in caso di una grande diffusione dell'influenza. L'obiettivo è quello di formare squadre di lavoratori pronti a sostituire le funzioni meno complesse nel picco dell'epidemia". Le squadre anti-A dovrebbero lavorare per una o due settimane mentre le aziende stanno già formando lavoratori jolly che siano in grado di ricoprire più ruoli.

Vione ha anche preparato un elenco dei luoghi di lavoro più a rischio: "Favoriscono l'epidemia gli open space, i call center e tutti i luoghi a contatto con la clientela dalla ristorazione agli alberghi, alla grande distribuzione".

L'influenza che verrà sarà certamente un costo: la Camera di Commercio di Milano stima che "nel picco di epidemia le aziende italiane spenderanno circa 300 milioni di euro in più", 25 a Milano, 21 a Roma, 12 a Torino e 11 a Napoli: "In Italia - dice il presidente della Camera di commercio milanese, Carlo Sangalli - le piccole imprese sono quelle che rischiano di più perché spesso non hanno la possibilità di sostituire il personale ammalato". Senza contare che in molti casi si attende l'effetto-panico: "Non vado a lavorare perché il mio collega si è ammalato". O l'effetto zia: "Devo stare a casa perché sono tutti malati e nessuno può occuparsi di lei".

Negli Usa si pensa al telelavoro: trasferire gli uffici a casa diminuisce le possibilità di contagio. Arriveremo così, nei giorni del picco, previsto intorno a Natale, ad avere alloggi divisi a metà: con una zona rossa dove sono ricoverati i familiari ammalati e una zona lavoro che sostituisce l'ufficio. Nelle grandi aziende solo pochi dipendenti saranno lasciati a casa con un computer: "Non possiamo certo portare a domicilio le linee di montaggio", dicono in Fiat. Aggiungendo: "Attenderemo le indicazioni del ministero".

Il caso degli ospedali è quasi un paradosso, come quello di Achille che non riesce mai a raggiungere la tartaruga: l'epidemia farà certamente aumentare il lavoro ma la stessa epidemia finirà per lasciare a casa medici e infermieri. Con il risultato di avere il massimo picco di attività quando gli organici sono ridotti al lumicino. Per questo in Toscana si è pensato a richiamare in servizio per quel periodo i medici in pensione come fossero riservisti dell'esercito. Roberto Arione, direttore sanitario dell'ospedale torinese delle Molinette, non ritiene che si arriverà a tanto: "Non ci sarà emergenza se funzionerà la rete dei medici di base che dovranno fare da filtro per evitare l'intasamento al pronto soccorso". Quanto ai 5.600 dipendenti dell'ospedale, "verrà loro offerta la vaccinazione gratuita".

Vaccinazioni di massa sono previste in grandi aziende, come l'Eni. Nello sport gli atleti si vaccinano da anni: "La salute degli atleti è fondamentale", dice Marco Atripaldi presidente della squadra di basket di Biella. Il problema del basket è che si gioca nel chiuso dei palasport dove il contagio rischia di essere più facile: "Ma non sarebbe una grande idea - dice Atripaldi - distribuire le mascherine sulle gradinate".
Questa invece è proprio la trovata di Sergio Troiano, attore di "Centovetrine" e proprietario di quattro cinema: "Perché non distribuire le mascherine insieme agli occhialini per il cinema in tre d? Il pacchetto 3d-A servirebbe almeno a far uscire la gente di casa quando la psicosi, ben più dell'epidemia, credo che terrà molti sigillati nei loro appartamenti".

Problema che riguarda tutti i mestieri a contatto con il pubblico: la Federlaberghi distribuisce un opuscolo pieno di avvertenze per la clientela. Al personale raccomanda invece di "lavarsi di frequente e di portare sempre con sé i fazzoletti di carta". Un mestiere particolare è quello di cui si occupa Pia Covre, leader del movimento delle prostitute di Pordenone: "Quello dell'influenza A non è certo il contagio che le ragazze temono di più. Ma le ordinanze anti-lucciole dei sindaci ci creano molte difficoltà: non è facile distribuire i nostri volantini con le precauzioni sanitarie. Poi succede che sono i clienti a diffondere le malattie".
florin88
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